L'omissione del poeta e la Palabretta Trastullina ▌ V.S. Gaudio, Giorgio Manganelli & Nadia Campana

L’omissione del poeta e la Palabretta Trastullina di Nadia Campana
Mini-Lebenswelt di V.S. Gaudio con Giorgio Manganelli [Centuria Settantotto].
Il poeta pensieroso nel delta del Saraceno vuoto è tormentato da un interrogativo insieme vago e inquietante; egli ha la sensazione di aver omesso un qualche gesto, una scelta, una fedeltà a principi che, d’altronde, non ha mai enunciato, o semplicemente ha omesso di rispondere alla cartolina della Palabretta Trastullina che Nadia Campana gli aveva inviato a Torino nel giugno del 1979[i], e, forse, ha omesso di rispondere anche a quel telegramma a cui, in verità, il poeta aveva tentato di rispondere con una telefonata dai Telefoni di Stato di Torino ma non avendo trovato in casa la destinataria se ne andò poi a farsi un gelato da Fiorio con la telefonista che gli aveva assegnato la cabina 15[ii]; e quindi il poeta non si è opposto ad un crimine del quale è diventato, di fatto, complice, e non ha tenuto fede ad un impegno che non riesce né a dimenticare né a ricordare, avrebbe dovuto risponderle con un’altra cartolina, con un’altra palabretta trastullina, la sua, e, dentro il nucleo[iii], la “palabretta trastullina” avrebbe dovuto essere il suo nome, “Nadia”? Un gesto  ovvio e banale, lo svelamento di un piacere singolare, che tutti, nel senso assoluto del termine, esigevano da lui. Il poeta, dunque,  non ha nemmeno l’idea se ciò che egli ha omesso, e che è sicuramente legato al suo tormento, sia cosa estesa nel tempo, o soltanto istantanea, tipo: dopo aver consumato il gelato con la telefonista poteva benissimo ritornare ai Telefoni di Stato in via Alfieri e farsi ridare un’altra cabina e tentare la telefonata con Nadia, per rispondere al suo telegramma, il cui contenuto non aveva omesso di svelare anche alla telefonista del gelato[iv] e forse anche alla gelataia su cui non aveva mai omesso il gesto ovvio e banale dello sguardo orale  alla cremeria incamiciata, d’altronde è sempre una cosa di gran momento, seppur sia un gesto trascurabile e minimo, ma di assoluta e intrinseca dignità, in quanto inclusa nel suo destino e nel destino di colei a cui quel gesto minimo e trascurabile doveva essere destinato. Il poeta è certo di non aver compiuto atti che ora lo tormentino con la loro indimenticabile, così scrive Manganelli, incalzante presenza: è certo che la sua infelicità, così estrema e radicata, dipende da una omissione, che non gli viene né rammentata, né perdonata, e come potrebbe accadere e chi potrebbe rammentarla e perdonargliela? Forse la telefonista di Stato, ammessa che sia ancora telefonista e viva? O la figlia di Giampaolo Piccari?[v]
E’probabile che quella omissione abbia alterato irreparabilmente la storia della sua vita e della vita di Nadia, e della gelataia da Fiorio e pure dell’ amica centralinista del poeta, e che ora quello che era un destino drammatico ma sensato si stenda come un segno deforme che toglie ogni senso ad una difficile connessione di eventi: la risposta stessa data alla considerazione dell’amica sul fatto che non avrebbe mai potuto strapparglieli i cosiddetti[vi] scolla la propria storia, e tutte le altre storie si sciolgono in quella controra a Torino, e ora, nel delta del Saraceno, non v’è, al mondo[: è il delta del saraceno il mondo del poeta!], forza che possa restituire rettilineo senso a quell’itinerario. Se egli potesse rammentare l’omissione, non del testo del telegramma, e nemmeno l’omissione della risposta alla cartolina, a chi risponderebbe?, certamente cercherebbe di porvi rimedio: una cartolina con la palabretta trastullina indirizzata alla sua amica coinquilina, e via, di botto, quell’Heimlich così vago e tormentato verrebbe cancellato dalla furia del gaudio che farebbe implodere l’oggetto “a” di Nadia al meridiano nel piacere singolare della sua amica di allora a Bologna[vii]? Oh, Dio, e perché mai Harry Mathews abbia omesso di rendercene conto di questo singular pleasure?
Ma non è impossibile che l’omissione del poeta si riferisca a qualche evento, o gesto, o parola di gran tempo prima, e quindi non v’è alcuna “palabretta trastullina” da far corrispondere né telegramma dimenticato, ma qualcosa che ormai ha consumato fino in fondo l’orrore della sua assenza, e ha inflitto guasti che sono definitivi, così la mancanza di senso della vita che vive è irrevocabile, tanto che egli non può che continuare a soffrire per quella ignota e irreparabile omissione, come se fosse stato egli stesso commutato da gaudio in dolore, come gli pappagallizza, molestandolo in rete, il suo troll che per essere tale è, secondo il codice civile di questa Repubblica, un suo parente acquisito, che, è ovvio, non discende dalla dinastia soprannominata “Parrotë[viii]. Lentamente, il poeta si mette in cammino, nello stesso spazio ristretto, prima che si arrivi al Km 46 della strada provinciale e qualche centinaio di metri dopo, come se si recasse alla casa del Torturatore, come narra nella Settantotto Manganelli: perché lo sottoponga a tortura, cosicché, piegato dal dolore, egli, il poeta,  confessi a se stesso, a chi altri mai?, l’omissione che ha logorato la mediocre trama della sua vita nel laccio del casolare esotopico della Chiesa gestito nel nome del Diodato[ix] in accordo e concordato col nome del grossista di pesci in Sud America che prendeva miliardi per il foglio che fu di Mussolini.


[i] Nadia Campana, Palabretta Trastullina, in gaudia 2.0/2012-11.
[ii] Che è la somma cabalistica di 78(7+8=15), che è il numero della Centuria di Giorgio Manganelli, in cui c’è quell’uomo pensieroso nella piazza vuota tormentato, come il poeta, da un interrogativo insieme vago e inquietante. Centuria che fa da base a questa Lebenswelt-Heimlich: cfr. Giorgio Manganelli, Settantotto, in: Idem, Centuria. Cento piccoli romanzi fiume, Rizzoli editore, Milano 1979.
[iii] Cfr. la spirale nella cartolina disegnata da Nadia Campana in: V.S. Gaudio, Quella Palabretta Trastullina, Uh Magazine/2017-06.
[iv] Feci leggere il telegramma anche alla mia amica centralinista, e le chiesi se si può dire questo a un poeta, e lei aveva un vestito di color bianco azzurro e le guardai i seni colmi e forse le dissi parlerò per te in tre lingue: uretrale, fallico e francese. E ricordo che lei si mise a piangere, questo lo ricordo, ma non ricordo niente, né una parola, nemmeno il paradigma del tuo telegramma, e la mia amica mi disse: “Ma a che serve tutto questo morderti l’anima se poi non potrà mai strapparti i …?”: Il telegramma dimenticato di Nadiella ) in: gaudia 2.0/2015/07
[v] (…)E le compagne di studi, c’era anche la figlia di Giampaolo Piccari, quello che faceva “Quinta Generazione” a Forlì, forse fu proprio lei a rispondermi quel giorno e mi disse che non c’era. Ed ero incazzatissimo. Tanto che mi misi, poi, a parlare, con uno dei centralinisti dei Telefoni di Stato, del telegramma che mi aveva fatto: Ibidem.
[vi] Io – questo lo ricordo – le guardai le mani, aveva  mani che sapevano di utero e seni e fu per questo forse che le dissi: “Ti pare che ci siano donne a Torino ad aspettare sotto il davanzale il mio prepuzio?”: Ibidem.
[viii] Starebbe, in shqip, per “Senza Ruota”; ma allude, tra l’altro, anche  al “Parrot”, per cui il troll, e tutti gli Ombroni associati, pappagallizzano qualsiasi atto, gesto, parola, omissione del poeta.
[ix] In gergo: Diodato equivale a “Chiesa”. E’ il cognome della suocera del poeta. Di origine arbëresh, ammašcata.