▐ V.S.Gaudio ricorda Nadia Campana ♥ Cozze ammùmmola a Milano ▐

Cosmogramma di nascita di Nadiella Campana
[Cesena, 11 ottobre 1954-Milano 10 giugno 1985]
detta “Nadia” da V.S.Gaudio 
© vuesse gaudio 1999
Io e Nadiella, l’ultima volta che ridemmo
Oggi che , vai a vedere, ho fatto due volte  la passeggiata di mezzogiorno e non ho avuto in entrambi i casi i pensieri morbosi che di solito mi prendono, e c’era quest’aria che, lo giuro, un po’, o forse troppo, crudele, e non è che stessi a pensare al teatro della crudeltà di Artaud  né al suo teatro di Séraphin, non ho pensato nemmeno a Nadiella, e allora a cosa pensavo?
Forse al testo che Luciano Troisio mi ha mandato dal Vietnam, e poi, va da sé, faccio sempre quattro passi con Marguerite Duras, intanto che aspettavo la nota di Nadiella…che è arrivata, e questa mi fa piangere sempre, sul lessico primario di Maria Pia Quintavalla, e rivedo com’è che scriveva, il testo che mi è arrivato è del 1984 ed è una postfazione  a Il cantare, che, poi, la Quintavalla pubblicò presso Campanotto nel 1991; il parallelo tra brevità e compimento della comunicazione e ancora il giro attorno all’io, che, da lì, sostanzialmente partiva tutto il volo dei novissimi, quantunque poi, come mi è occorso di pensare nel pomeriggio, un po’ prima, molto prima del tramonto, diciamo nella controra, che, in questa parte dell’anno, prima della primavera fisiologica, ti corre incontro ed è quell’aria ferma, anche se c’è un libeccio abbastanza freddo, e, quando hai finito la passeggiata, ti sembra che le tue fantasie morbose siano tutte sudate com’è sudato il poeta, col berrettino di lana, che ha appena smesso di percorrere il meridiano , insieme al suo oggetto “a”, e da nord, che è il culo del mondo, ha fatto ritorno al sud, che, invece, è il medio cielo, quello che, quando lo guardi dritto negli occhi, preferisce la figura alla metafora ed è per questo che se ha una bella condensazione di nuvole che passa sul sole a mezzogiorno, puoi star certo che  nella controra non potrai andartene a spasso a coltivare pensieri morbosi perché verrà a piovere; quantunque , poi, quell’io che i novissimi aggiravano chi di qua e chi di là come se non ci fosse e in sostanza non era l’io che se n’era andato a spasso ma era che la metafora basta che la spingi un po’ nello spazio non è più tale e così si fa metonimia e di questo passo, con la maschera e un po’ di surrealismo, quell’io stesso che, a parole, i novissimi avevano aggirato, s’era invece bell’appollaiato in capo al meridiano del loro oggetto “a”, che, più o meno, aveva il culo e la propensione dromonica della Nadja di Breton, e forse anche le scarpe, che, quando c’è Nadia dentro il soggetto, quelle sue scarpe che aveva a Milano in quella primavera del cazzo negli anni di piombo, una primavera del niente, ma che con quelle scarpe il mio oggetto “a” aveva finito col fottere di brutto il mio io, anche se, a conti fatti, più che l’io era l’es e, per di più, anche il super-io stava a gambe all’aria, io ricordo che a un certo punto, nella controra, uno di quei giorni di quell’aprile, non so in quale aiuola a Milano stavamo seduti io e Nadiella a parlare di cozze ammùmmola e mortadella, che, va detto, anche in quella primavera del nulla, con quelle scarpe che Nadiella aveva a Milano, questo le dissi: con te starei sempre a  mangiare pane e mortadella(1), e fu per questo che, poi, senza dirci niente, ci rivedemmo a Bologna, non certo per il comizio di Ingrao che, sai, quanto cazzo me ne fregava!...e a Bologna, lo ricordi no?, c’era quella piazza stracolma quella sera con dentro tutta le gente di Bologna e forse anche dei dintorni, mi pare che ci fosse anche qualcuno di Cervia, ti ricordi?, e tu dicesti: mi sa che pure da Cesena ne sono arrivati un bel po’, e io ti dissi: ma da che cosa li riconosci, hanno un segno particolare, mettono le scarpe come le metti tu, e, piuttosto, è questo che ti dissi: quelli di Cervia io li riconosco perché sanno di sale, e tu pronta: quelli di Cesena io li riconosco perché sanno di barbabietola, e io: per via del Savio che di lì passa e per portarsi dentro l’odore delle barbabietole per lo zucchero fino al mare, sarà dunque per questo che ti ho riconosciuta a Milano e, ti ricordi?, che ti ho detto? Ma tu sei di Cesena! E alla tua sorpresa: ma come hai fatto? Ma dai, ti dissi, ti ho visto arrivare e mi son detto , un po’ come Pound, ma chi è questa che muove il mio es e anche il super-io, o è la figlia di Eric Berne, o è la figlia di uno psicanalista junghiano oppure, anzi, no, è la Biblioteca Malatestiana di Cesena, ecco l’ho visto subito, Nadia, questa ha qualcosa della Biblioteca Malatestiana, e: Ma tu sei di Cesena! E tu: tu hai qualcosa di Cervia, non è il sale, che quello, ne sono più che certa, ti manca, e allora mi dicesti: hai qualcosa di Cervia che è come sai aspettare il sorriso di una donna e ti piace vedermi sulla spiaggia d’inverno, come in quella foto in cui ero sulla spiaggia a Rimini, e fu per questo che ti fu rubata con il libro di Testori, quello della felicitas, che fa specchio con gaudio, e , prima di Jean Baudrillard fu questo che ti dissi: sei di Cesena e sei patagonica, non ho mai visto una ragazza stare così in riva al mare d’inverno, il mare di Rimini di solito lo guardo e mi fa piangere, ma tu che cosa sei così vestita, io non riesco a dirlo, un poeta quando non parla non ha parole figuriamoci schemi verbali, però sente come se la pulsione uretrale spingesse il suo oggetto “a” talmente in alto che passa al meridiano e da lassù mi spinse a chiederti: aveva piovuto quel giorno al mare a Rimini e ti eri bagnata? E tu a ridere, ridesti tanto che fu per questo che una volta andammo per i colli bolognesi e a un certo punto ci mettemmo a correre per portarci verso un riparo perché stava piovendo come non mai e anche allora, peggio di Thorstein Veblen, una volta al riparo, ti chiesi: ti sei bagnata? E ridemmo tanto ancora e ancora e ridemmo ancora e ancora che fu l’ultima volta che ridemmo. by v.s.gaudio  
[1]  Oh, Nadia, Nadia, che ne hai fatto della cartolina che ti spedii in via Barberia 15 a Bologna, è lì che l’hai abbandonata con la mortadella tutta che ti allitteravo  con l’Emilio Villa di L’homme  qui descend quelque: roman metamytique?
La mortadella , l’imageonation Toutale, l’aparition des Machines!
Cielle formidabile! Quelle fourmidine!
Tête consue dans les cuisses(cuius ipse) des hommes, latte, la tête.
Ça ç’tait la tête tête même crâne qui luihululait dans la chaîne, oh, ma ventouse! C’est votre toutemps, à travers una lettre-sphère, la mortadella!
[da :una cartolina a nadia campana a bologna tra mortadella ed emilio villa, sto mangiando pane, mortadella et l’homme qui descend quelque: le poète descendra à bologne, c’est metamytique, ho già la mappe et l’oreille droite, le son de jappes, j’ange p’ange m’ang © v.s. gaudio 1979  o giù di lì]



POESIE PER CIELO E PER TERRA                   
Postfazione di Nadia Campana a Il cantare di Maria Pia Quintavalla, ed. Campanotto, 1991



Queste poesie delicate ma per niente soavi, affidano all'alba e ai valori del giorno una chiara e tenace volontà di vivere nel reale. Con mezzi semplici e attraverso un continuo sacrificio dei riferimenti onirici e dell'impressionismo romantico, Quintavalla vuole farci vedere qualcosa toccando solo l'essenziale. Quelle vere e proprie tentazioni per chi come lei, oggi, è tornato a pronunciare la parola "io", si dissolvono di fronte alla forza di chi sa guardare, respirare, assaggiare, consumare la vita traducendo questo viaggio in una geografia mentale.
  Così il ritmo di questa poesia è scandito da quel ricco sbucare nei comportamenti. Ciò detto, la semplicità di cui si diceva, appare più complessa e aspra, il suo contaminarsi con qualcosa di strano e di fisiologico evoca un'associazione di pensiero e vita, filosofia e stati materiali che ci riportano agli scritti sulla "crudeltà" di Antonin Artaud o a certa gestualità dei poeti russi degli anni '20-'30 a cui Quintavalla deve essere stata vicina.
      Con alterezza muovendosi quasi al di fuori delle istituzioni poetiche, rifiuta ogni stabilità finché non si ritrovi in quel punto disarmato e cedevole che solo dona le radici del volo. C'è aria di mare, di sorelle, di bambini in questi versi: essi nascono al linguaggio col talento naturale di chi parla all'orecchio, alle emozioni, ai sensi. Quella grazia le permette di pronunciare certe parole come se fosse la prima volta e le avesse inventate lei. Lessico primario, preferenza della figura alla metafora, struttura paratattica camminano sulle tracce di un suono popolare, di una canzone, di un fruscio di corpi. Lì le parole paiono abitare ancora con naturalezza, non c'è bisogno di cercarle. Precipitino pure un momento dopo nel silenzio, perché altro non c'era da dire. Ecco il perché della brevità di questi testi: il compimento della comunicazione è un miracolo felice che non ha bisogno di prolungare e conservare.

marzo 1984