Luciano Troisio ● Il fiore del frangipani





Candidasa, 29 luglio 2013

IL FIORE DEL FRANGIPANI

Ieri ci siamo trasferiti da Padangbai, io e le due francesi madre e figlia, fino all’estrema parte est di Bali, esattamente ad Amed. Alle 9.30, come d’accordo, ho lasciato la mia camera fronte mare del Kerti, e mi sono diretto con trolley e borsa Pam al vicino Marco inn. Padangbai è molto piccola. La ragazza mi aspettava nel cortile pieno di cespugli fioriti dove stava mangiando un omelette e mi ha offerto parte del suo caffè, abbiamo bevuto dalla stessa tazzona. La mamma si stava preparando al piano superiore. La ragazza mi ha fatto delle domande di tipo scientifico sul perché gli uomini, che nella preistoria erano tutti di pelle nera, sono diventati bianchi. Poi abbiamo parlato degli indoeuropei, non sotto l’aspetto etnico ma linguistico. Era di ottimo umore e questo ha rallegrato anche me che potrei essere suo padre. Arriva la madre, ultrasessantenne, elegante (di quelle che hanno fatto un solo figlio molto dopo i quaranta), con uno splendido abito giallo comprato in loco, pettinatura bionda appena rassettata, ridente nel suo abbondante sovrappeso da vedova americana che ha appena incassato l’assicurazione. Ordina il break fast. La ragazza è salita a sua volta a lavarsi. Intanto erano passate le dieci. Abbiamo parlato di molte cose. La signora tende a parlare, nel suo inglese solo un tantino migliore del mio, con tutti gli indigeni che incontra, è curiosa di tutto. Immagino che sia convinta di essere molto democratica; intanto il tempo passa. Ha voluto assolutamente che mangiassi un pankake, è una tipa di un insistente noioso insopportabile. A tal fine ha chiamato la padrona balinese, mi ha fatto portare anche un’altra tazzona di mediocre Balicopi. Abbiamo parlato a lungo con la padrona, tutta sorrisi e gentilezze. Si son fatte le undici, siamo saliti in camera; la ragazza aveva finito di farsi la ceretta alle gambe. È piuttosto bella, e la madre: come sei bella. In effetti piace molto anche a me, ha un bel personale, capelli biondi lunghi, un bel volto espressivo, non assomiglia per nulla alla madre, seno abbondante già con un cicinin di smagliature, che si notano anche nella parte interna delle cosce. La madre vorrebbe che la ragazza si guadagnasse un po’ di argent de poche perciò vorrebbe creare un book di foto da presentare a studi pubblicitari. Nei giorni precedenti la signora mi ha usato come suo fotografo oltre che come schiavo, boy, chaperon, guida e coolie. L’ho immortalata in centinaia di pose fino allo sfinimento (mio). Il 95% delle immagini è venuta orenda, cioè naturale. Il resto decente. La signora è stata mia vicina di camera a Ubud. Abbiamo fatto amicizia e ogni mattina consumato insieme il BF al piano, che lei ha abbondantemente integrato con yogurt, marmellate, biscotti e vari tipi di tè (io non lo so apprezzare, ma il caffè è così atroce…). D’accordo: lo faceva per la figlia. Quante preoccupazioni questi figli! E in più le mestruazioni in ritardo. Dice che a volte le salta addirittura (ne ho antica esperienza…). E infatti la fanciulla è molto nervosa e instabile, discutendo con la madre, che la provoca in media ogni dieci minuti, ha degli scatti reattivi molto bruschi; a volte addirittura se ne va. Esorto alla pazienza. Cerco di mediare.
Hanno una Nikon molto costosa, regalo dei colleghi in occasione del pensionamento, io ho un’altra Nikon più modesta, comprata a Sri Lanka (avendo scassato la mia Olimpya made in Vietnam) con soli 8 pixel. Sono fotografo da sempre, da poco approdato al digitale dalle più classiche slides. La ragazza si è presentata appena uscita dalla toilette mattutina come un’apparizione. Ho cominciato a scattare sul terrazzino, rami verdi saliti dal giardinetto sottostante e fiori esotici dappertutto. La ragazza, pur non essendo perfetta, ha un corpo notevole, ho fatto scatti a centinaia, aveva una maglietta scollata chiara e sotto appariva il reggiseno nero. Siccome dai pantaloncini inguinali sporgevano delle tasche nere, mi pareva logico sottolineare questi particolari e le ho gentilmente spostato spalline e reggiseno. Al che la madre ignorante sempre tra le palle a dare consigli di regia fuori luogo mi ha detto: non toccare le tette a mia figlia. Quando lavoro lo faccio molto seriamente, non penso ad altro e cerco di costruire la migliore sinergia col soggetto. Figuriamoci se tollero la benché minima libertà. Se la battuta avesse avuto un intento scherzoso, avrei immediatamente accettato il codice, ma non lo era affatto. Inoltre solo un profano sprovveduto può disturbare durante un servizio fotografico d’autore. (Giorni prima le avevo accompagnate al magnifico tempio/sorgente di Tampaxiring. Per entrare in un luogo sacro bisogna indossare un certo costume che ora viene fornito gratis. Ebbene: appena indossato con l’aiuto di apposito vecchietto, la dama ci aveva rivelato che il summentovato le aveva bragagnato quattro volte le tette, del tipo informe/voluminoso, che come studioso personalmente trovavo di attrattiva nulla. Già avevo delle riserve su quelle della figlia minorenne…). Sapendo con chi avevo a che fare ho evitato per miracoloso sforzo diplomatico di darle un paio di schiaffoni sincronici e le ho solo detto di non permettersi mai più di rivolgersi a me con quel tono. Nei giorni precedenti si era dimostrata in modo inaspettato volgare e molto maleducata, soprattutto in presenza di altre persone, ad es. obbligandomi a dare a estranei il mio biglietto da visita (quasi fossi suo marito….). La figlia non la sopporta, ma essendo minorenne -pur dimostrando un fisico da venticinquenne- deve abbozzare perché ancora studentessa, senza padre e del tutto dipendente.
Abbiamo cambiato varie volte locations, valorizzato le lunghe gambe, il volto di grande intensità, assecondato la spontaneità della fanciulla. In passato ho lavorato con famosi fotografi (che non nomino), secondo me sopravvalutati, soprattutto volgari tecnici senza cultura e non artisti; locations prestigiose: Arquà, Asolo, Venezia, avevamo dietro uno stuolo di assistenti. Ricordo un nero abbastanza famoso, interveniva solo sui capelli delle modelle. Cosa che a suo tempo ho imparato bene da lui. Il gesto deve essere unico, la chioma sconvolta senza più toccarla. Ho usato in sequenza le due macchine. La ragazza negli intervalli verificava subito gli scatti nella macchina in riposo, ne cancellava arbitrariamente molti, cosa che come autore mi fa sempre arrabbiare, pur sapendo che non bisogna in nessun caso irritare la modella (ma nemmeno l’artista). Su circa quattrocento ne sono uscite una mezza dozzina di superbe. Intanto si era fatto mezzogiorno. La dame ha poi voluto che la fotografassi colla padrona davanti alle statue del tempietto, sapere il significato dei loro gesti (molto simili a quello dell’ombrello) e così e cosà, finalmente ha fatto chiamare per il tassì, è arrivato il sovrintendente al prezzo. Durante le trattative la gentilissima padrona balinese ha moderato la discussione, impedendo che il prezzo venisse ribassato, cosa che ha sconvolto madame. Le balinesi (non tutte ma in generale) sono di un’avidità strozzinesca. Alla mezza: combinato per 280.000 rupie. Arriva il driver, carichiamo, si parte. La ragazza sale davanti, io dietro a spupazzarmi la signora.
Padangbai è famosa per l’attracco dei ferry che vanno alle piccole isole della Sonda (Lombok, Sumba, Sumbava, Flores che è interamente cattolica, Timor ovest indonesiana, Timor Est, stato indipendente interamente cattolico). Il molo principale è attualmente fuori uso e ciò provoca enormi code di camion che devono aspettare molte ore e intasano le strade d’accesso con grossi problemi per il traffico fino all’unica strada costiera, quella che dovremo percorrere anche noi. Finalmente arriviamo al cross/rotatoria, giriamo verso est, dopo qualche chilometro si arriva a Candidasa, su cui ho scritto molte volte. C’è un grande lago interamente coperto da fiori di loto. Proseguendo verso est si abbandona la regione di Bali centrale (quella dove le tradizioni antiche sono più genuine: cerimonie, danze, pantomime, artigianato, oreficeria, scultura in legno, in pietra) e si entra nella parte che per vari aspetti è diversa. Perfino il sostrato della popolazione ha caratteristiche anteriori all’invasione giavanese. Sono i cosiddetti Bali Aga, con tradizioni completamente diverse, antichissime, addirittura connesse al periodo megalitico e spesso animiste. Inoltre in questa zona, chiamata Karangasem o Amlapura, vive una minoranza musulmana del 10%. Sul paesaggio incombe il cono del grande vulcano Agung, che nel secolo scorso distrusse con terribili eruzioni tutta la zona alterando il corso dei fiumi, distruggendo migliaia di templi e case. A suo tempo, durante un precedente viaggio, visitai questa zona. Era brulla, con erba gialliccia, qualche piccola palma si sforzava di crescere sulle lingue di lava grandi come colline, alcune precipitate fin dentro il mare. Per decenni molti tratti non erano percorribili nemmeno in motocicletta.  La prima guida di Giava/Bali che ho acquistato negli anni Settanta, aveva delle cartine che illustravano la zona disastrata e segnalavano sentieri tratteggiati, gli unici percorribili. Ma oggi abbiamo potuto constatare che la vegetazione si è completamente ristabilita nel suo tripudio verdeggiante, le risaie sono state risistemate, l’equilibrio idrico è perfetto, per quanto l’acqua non abbondi, tanto che in certi paesi bisogna ancora portare quella potabile con autocisterne. La strada è tutta curve, saliscendi. La signora ha fatto fermare varie volte, mi ha pregato di immortalarla. Le foto son venute di una bruttezza stridente col paesaggio edenico; a un certo punto, su un piccolo valico, ecco molte scimmie che non rispettano le offerte sugli altari e se le mangiano. Passiamo Tirtagangga, palazzo d’acqua per me importante, ma non dico nulla. Il driver ferma subito dopo, per gli scatti d’obbligo alle risaie della vallata. Stupende, ridenti. La ragazza passa dietro, soffre il mal d’auto, si stende alla mia sinistra, posa il capo sul mio femore, poi cambia, mi dice di non guardarla mentre dorme. Arriviamo al famoso bivio di Culik, già posto di grassatori e truffatori. Ma ora non c’è quasi anima viva né mercato. La dame scende e va a comperare varie chincaglierie. Ci mette molto, io nemmeno scendo, la ragazza sta male e credo che la fermata sia per darle sollievo. Le do una fisherman alla menta, il pilota scende raggiunge la signora per far da mediatore negli acquisti. Sono di una curiosità incredibile, subito vuole inserirsi. Mi pare che lei lo stia mandando al diavolo. Alla fine ripartiamo; ha comprato una mensola da offerte in nero e oro, un ventaglio azzurro, una bibita che la ragazza rifiuta. Prezzi bassissimi. La meta è Amed, che conosco da molto. Spiaggia a ciottoli di lava, bungalow in pendenza. Sulla sinistra preparativi di cremazione, piccola torre, toro nero (significa che il defunto è della casta dei bramini), ci sono persone che indossano il costume tradizionale, sorridono e le loro dentiere bianche mi ricordano maschere e dipinti tradizionali. La ragazza è piuttosto strana, non solo non ha detto nemmeno un grazie per le foto, ma mugugna che lì non troverà nessun giovane con cui fumare. Intanto la madre, che ha letto attentamente la sua guida francese, torna dall’ispezione, dice che i bungalow sono bellissimi, il posto le garba assai, parla in francese coll’incaricato, ci costringe a seguirla per vedere la spiaggetta e l’annesso bungalow. Che costa di più, nonostante sia abbastanza spartano e in quel punto non c’è wi fi (quindi lo darebbero a me) e verrebbero a godere della (mia) spiaggetta privata. Sarebbe bello, avrei la ragazza come ospite in bikini. Mi piace da morire. Dovunque appare attira gli sguardi, gli uomini le sorridono.

[Sono costretto ad aprire una parentesi: sto male, sto molto male. Cerco di non farlo trapelare. Mi scappa da piangere, credo di avere gli occhi lucidi. Da alcuni giorni non prendo il mio antidepressivo, avendo smarrito il flacone, è la prima volta che mi succede dopo anni e l’angoscia mi sta attanagliando. Abbiamo cercato il farmaco anche nella capitale Denpasar, gli amici italiani hanno scomodato perfino degli accademici. Nulla. L’argomento è molto interessante e adatto a descrivere i rischi che si corrono a sud di Singapore, dove c’è il vuoto assoluto fino all’Australia e si può crepare in pace.]

La signora cerca di invogliarmi a restare lì con loro. In realtà è una bieca sfruttatrice che vuole realizzare a scrocco il book per la figlia divina: questo mi addolora e irrita. Cerco di esprimermi con educazione, osservo che non mi sembra opportuno imporre la mia presenza, specie alla giovane; la madre mi interrompe e chiede a gran voce alla figlia se vuole che io stia lì. Risponde che per lei è lo stesso. Le mie foto le piacciono, ma si guarda bene dal chiedere favori. D’altronde agli dei tutto è dovuto. Non mi sembra il massimo del gradimento, quindi per dignità decido di andarmene, di tornare a Candidasa. Del resto avevo fin dal giorno prima dichiarato che quella sarebbe stata la mia destinazione. La differenza tra me e loro è che io conosco a menadito tutti posti, mentre loro sono alla prima esperienza e non sanno dove vanno. La signora insiste, che il giorno dopo si libera il bungalow accanto al loro, che costa di meno, che è tutto bellissimo. Faccio notare che tornare indietro da Amed specie nel pomeriggio non è affatto semplice e che mi conviene approfittare del nostro stesso tassì che torna a Padangbai. E lei: ma fermati almeno a mangiare! (sono le due e mezza). Mentre piango masochisticamente all’interno, mi rendo conto che tutto sommato la signora è molto carina nel suo insistere, che forse non è solo squallida e magari è anche sincera e almeno lei ha piacere, oltre che interesse, che resti. E poi la locations spiaggia vulcanica sarebbe ottima, e piacerebbe anche a me che provo una sensazione intensa mitragliando quel bel volto, quel corpo adolescente prepotente, mi pare di possederlo, lei non può non sorridermi non ammiccarmi, il mio sarebbe un vero oblativo atto amoroso che certamente interferirebbe positivamente sul risultato, e forse nemmeno lei sa davvero che cosa sta facendo provando pensando. Ma il pianto interno la destrudo ha il sopravvento e mi dirigo al tassì, la signora lo paga, rifiuta il mio contributo, anzi se ne esce con: diamogli altre 50.000, così ti aspetta mentre mangi. Salgo, sono assalito da un forte capogiro, voglio fuggire perché temo di scoppiare a piangere, tutto muta.
 Mi fa un cenno con la mano sorridendo, da lontano, non si avvicinano di un centimetro, stanno sul bordo della strada, quello è un addio definitivo, dopo un mese di onorata servitù, non ci vedremo più). Fingevo di non sapere che avevano già progettato di andare alle isole Gili a visitare il più grande allevamento di zanzare di Lombok, direttamente da Amed. Volevano davvero portarmi con loro alle Gili? La ragazza è assente, non fanno un cenno, non hanno una parola per tutto quello che ho fatto scoprire loro. Ma sono io che abbasso il finestrino, ringrazio la dea, le auguro ogni felicità e buona fortuna per la vita. Il viso ora non modifica un solo muscolo. Partiamo.
Tutto all’indietro, Culik, risaie, Tirtagangga, Amlapura, Bug Bug, finalmente il laghetto costiero di Candidasa e il Kelapa Mas. Il tassista scarica, ringrazio e saluto, se ne va senza rispondere.
Silenzio, non c’è nessuno, poi esce un giovane che mi riconosce, mi saluta in italiano, discutiamo un po’ il prezzo in dollari, mi pare 45, infine accetto il prezzo di 250.000 rupie. Mi accompagnano al mio fido bungalow B1, i clienti sono pochissimi, una cameriera bruttina elegante mi porta una bevanda di benvenuto. Conosco alcuni clienti del Kelapa da molti anni, oggi non c’è né Mafalda né la suora svizzera buddista che è rientrata a Zurigo, ma tornerà presto.
Ho descritto varie volte il giardino del Kelapa Mas, che nonostante abbia vinto molte volte il titolo di più bel giardino di Bali, non è nemmeno citato nella superguida francese. Anche stavolta, fuggito dalle grinfie, ho chiesto asilo al giardino solitario. Qui mi sento meglio; sono diminuiti perfino i suoni molesti come seghe diesel, smartellamenti, perfino i galli sembrano più umani. È forse il luogo adatto per superare la scrisi di astinenza dal farmaco.
Inoltre a Candidasa ci sono molti ristoranti dove si mangia bene, le cameriere sono gentili e molto eleganti; il servizio è curato nei particolari. Ieri sera al conto mi hanno portato un bicchierino di arak e messo un bellissimo profumato fiore di frangipani all’orecchio.

Ma dopo venti metri di strada l’ho gettato via.